L'ippopotamo Carnerone
L'ippopotamo Carnerone
disse un giorno tra sé e sé:
«Oggi piglio il torpedone
vado a prendere il caffè
dagli amici in città.
Bello è stare in società».
S'aggiustò cravatta e colletto,
s'infilò il panciotto più gaio
e svelto svelto succhiando un confetto,
senza avvertire il portinaio,
spingi tu che spingo anch'io
parti gridando: «Addio! Addio!»
Ma quando scese in piazza del Duomo,
tutto allegro come un fringuello,
gli disse un vigile: «Galantuomo,
sta bene attento: faccio un macello
se non conosci le norme stradali.
Te ne intendi di segnali?
Se non vai sui passaggi zebrati,
se dei semafori ignori i colori,
se fai movimenti sbagliati,
pancione mio, son dolori:
t'appioppo una contravvenzione
e magari finisci in prigione».
l'ippopotamo rimase male.
Si guardò intorno pieno di sgomento,
e poi disse: «Caporale,
me ne scappo più svelto del vento.
Senz'amici, senza caffè,
torno a casa. Ahimè! Ahimè!»
Con un cupo brontolio
il povero bestione
spingi tu che spingo anch'io,
risali sul torpedone
disperato e poi piangente
con una sporta piena di niente.